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to vulnerable and disadvantaged groups, with equal opportunities for a healthy,
safe and productive life in harmony with nature and their cultural heritage and
spiritual and cultural values (…)», affermando, tra l’altro, l’impegno a «(r)
Protecting and maintaining the historical, cultural and natural heritage, including
traditional shelter and settlement patterns, as appropriate, of indigenous and
other people, as well as landscapes and urban flora and fauna in open and green
spaces; (s) Protecting holy places and places of cultural and historic significance»;
la stessa Dichiarazione inoltre aveva dedicato una parte specifica, piuttosto
corposa all’interno del Chapter IV «Global plan of action: strategies for
implementation», alla «Conservation and rehabilitation of the historical and
cultural heritage».
Tuttavia, le indicazioni della Habitat Agenda non avevano trovato riscontro
all’interno dei Vertici mondiali sullo sviluppo sostenibile, neppure all’interno
delle parti dedicate alle città, in relazione alle quali, come si è visto, il tema era
piuttosto quello di trasporti, alloggi e qualità dell’ambiente.
Invero, parrebbe potersi dire come l’originaria matrice ecologica dello svilup -
po sostenibile abbia finito per condizionare la stessa evoluzione del principio,
opponendosi ad un allargamento di esso al tema della cultura che, a ben vedere,
neppure oggi assurge al livello di autonomo pilastro.
Se si ripercorre sinteticamente il percorso evolutivo del principio, infatti,
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risulta di tutta evidenza quanto appena affermato .
Il Rapporto Brundtland del 1987, nonostante l’ampia prospettiva da cui ana -
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lizza il tema e nonostante l’attenzione specifica per le città, non si occupa di
questo aspetto ancorché non manchino alcuni (pochissimi) fugaci cenni ai danni
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perpetrati al patrimonio storico dagli inquinamenti e dalle piogge acide .
Anche la Dichiarazione di Rio di Janeiro sull’ambiente e lo sviluppo del 1992
mantiene l’impronta marcatamente ecologica e, per quanto di interesse, contiene
un unico riferimento alla cultura che, tuttavia, non è declinata in modo globale,
ma è riferita solamente a quella delle «genti indigene e delle altre comunità
locali» a cui è riconosciuto «un ruolo fondamentale nella gestione e nello
sviluppo ambientale grazie alla loro conoscenza e alle usanze tradizionali» a cui
consegue che gli Stati debbano «riconoscere e debitamente sostenere la loro
identità, cultura e interessi e consentire la loro efficace partecipazione per il
raggiungimento dello sviluppo sostenibile».
26 Le osservazioni che seguono riprendono in modo sintetico le riflessioni contenute
in C. VIDETTA, Cultura e sviluppo sostenibile. Alla ricerca del IV pilastro, Giappichelli,
Torino, 2018, a cui sia consentito rinviare per approfondimenti in merito.
27 Si rinvia a quanto già osservato supra, par. 2.
28 Chapter 1: A Threatened Future, p. 26.