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                In una prospettiva di sintesi che sia direttamente funzionale alle riflessioni
             che si vanno conduecendo, potrebbe rilevarsi come il goal n. 11, se visto attra -
             verso il prisma dei targets in cui si declina, individui nell’insedimento umano,
             qualunque sia, l’unità di base, la cellula minima e irrinunciabile di un mondo in
             cui, se da una parte si riscontrano le contraddizioni e le conflittualità della
             società contemporanea, dall’altra trovano (e devono trovare) realizzazione quella
             solidarietà tra individui che, sola, se rapportata a livello mondiale grazie alla
             considerazione complessiva di tutti gli insedimenti in necessaria relazione tra
             loro, consente di realizzare l’obiettivo di solidarietà globale.
                Tirando le fila di quanto osservato, ben si può rilevare come l’abbattimento
             di barriere interne ed esterne, l’intervento sui luoghi della condivisione e del
             confronto, l’attenzione alla qualità ambientale e la pianificazione partecipata
             complessivamente considerati, evidenzino l’esigenza – peraltro ben presente
             nell’intero documento dove l’idea di inclusione è costantemente enfatizzata –
             non tanto (o non solo) di garantire singoli servizi, ma piuttosto di ricostruire i
             tessuti sociali compromessi dalla progressiva divaricazione delle differenze, già
             denunciata come si è detto fin dalla Convenzione di Stoccolma, nel
             perseguimento non solo di una rigenerazione di spazi, ma di una vera e propria
             rigenerazione umana.








             “proiezione della società sul territorio”. Senza pretese di approfondimento sul tema,
             che in queste riflessioni non potrebbe trovare spazio adeguato, è opportuno tuttavia
             rilevare come, secondo quanto osservato da attenta dottrina, la tesi di Lefebvre nasca
             dalla constatazione che nella città della metà del secolo scorso si assisteva ad un’inver -
             sione nella relazione tra industrializzazione e urbanizzazione, propria del secolo
             precedente, tale per cui è “la stessa produzione dello spazio urbano a determinare la
             produzione dello spazio industriale, i consumi e i flussi economici dell’ascesa del
             capitalismo come forma economica tipica della società occidentale”; in tale contesto,
             l’idea del “diritto alla città” diverrebbe dunque più che altro un appello, un’esigenza,
             un “diritto alla vita urbana, trasformata e rinnovata”: un diritto “alla vita urbana, alla
             centra lità rinnovata, ai luoghi d’incontro e di scambio, ai ritmi di vita e ai modi di utiliz -
             zare il tempo che consentano un uso pieno e completo di momenti, luoghi ecc.)”, in
             sostanza una istanza degli individui di riappropriarsi della città della quotidianità (F.
             SAITTA, Il «diritto alla citta»: l’attualità di una tesi antica, in P. STELLA RICHTER (a cura
             di), Ripensare la città e il suo diritto (Studi dal XXIII Convegno nazionale A.I.D.U –
             Padova, 1-2 ottobre 2020), Giuffrè, Milano, 2022, 42 ss.). Sul punto, naturalmente, J.
             B. AUBY, Le droit de la ville. Du fonctionnement juridique des villes au droit à la ville,
             Paris, 2013.
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