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consentirebbero di recuperare un ampio patrimonio abbandonato e in disuso
che, proprio perché “meno vistoso”, faticherebbe tra l’altro ad inter cettare
interventi specifici di sponsorizzazione (in ragione della scarsa appeti bilità del
ritorno di immagine che ne conseguirebbe), con evidenti ripercussioni positive
sulla “ricucitura” del tessuto urbano e sulla stessa dimensione di città e di qualità
della vita. L’abbandono di questi beni (l’osservazione è naturalmente valida per
qualunque bene immobile, ma qualora si tratti di bene culturale il suo abban -
dono assume una dimensione direttamente impattante sull’identità – intesa in
senso volutamente molto ampio – della collettività) determina infatti “vuoti
urbani”, un vulnus non solo nel patrimonio culturale materiale, ma anche nel
senso di identità e di appartenenza e dunque, appunto, nella qualità della vita;
si tratta di “ferite aperte”, di veri e propri strappi nella città dovuti peraltro
anche alla logica, più volte richiamata, dei vincoli specifici attuata dal Codice
del 2004. Proprio la dimensione territoriale più locale, inoltre, si pone perfetta -
mente in linea con l’idea portata dalla Convenzione di Faro di collegamento
stretto tra il patrimonio culturale e la cd. Comunità di eredità, ove la stessa
eredità culturale è definita come «insieme di risorse ereditate dal passato che le
popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà,
come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni,
in continua evoluzione» e la comunità di eredità è «un insieme di persone che
at tri buisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel
quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni futu -
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re» . Le situazioni in cui concretamente le comunità di eredità intera giscono
col patrimonio culturale, rectius, coll’eredità culturale, sono le più varie e
proprio attraverso l’art. 134 citato possono trovare un utile strumento di
attuazione: l’uso del bene culturale, in questi casi, è attivo, nel senso che la
comunità di eredità “vive” nel bene culturale e si apre alla collettività.
Se tutto questo non è naturalmente privo di rilevanza anche economica,
questi strumenti consentono di recuperare il significato della valorizzazione non
solo culturale in senso stretto ma anche culturale/sociale, dove i beni sono
davvero vivi e vitali, riconoscibili come risorsa territoriale in grado di mobilitare
le energie creative delle comunità sociali e al contempo di attrarre nuovi
“utlizzatori”, unendo la narrazione del passato e dunque il recupero della
memoria storica dei luoghi alla dimensione di riscoperta e riuso secondo logiche
di condivisione di valori, perfettamente in linea col disegno della città culturale
sostenibile. In questo modo il patrimonio culturale riesce davvero a diventare
99 Sul significato di comunità di eredità, cfr. C. CARMOSINO, La Convenzione quadro
del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, in www.aedon.
mulino.it, n. 1/2013.