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                Da un punto di vista, per così dire, strutturale, la pianificazione urbanistica
             da tempo assume un ruolo importante nell’individuare valori culturali ulteriori
             ed aggiuntivi rispetto al Codice dei beni culturali e del paesaggio. È sufficiente
             infatti richiamare le correzioni apportate alla legge urbanistica, prima dall’art.
             3, l. 6 agosto 1967, n. 765 (di modifica dell’art 10, l. n. 1150/1942) e, l’anno
             successivo, dall’art. 1, n. 5, l. 19 novembre 1968, n. 1187 (di modifica dell’art.
             7 della legge urbanistica), le quali, rispettivamente, attribuivano all’autorità
             preposta all’approvazione del PRG (giunta regionale) il potere di apportare
             anche le modifiche riconosciute indispensabili per assicurare, tra l’altro «c) la
             tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed
             archeologici», e stabilivano che il PRG dovesse indicare altresì «i vincoli da
             osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico» (modificato dalla
             l. 1187/1968). La giurisprudenza successiva aveva subito chiarito come la norma
             da ultimo citata non intendesse imporre al PRG il mero recepimento passivo di
             vincoli altrove stabiliti (che era comunque necessario laddove, per quanto qui
             di interesse, tali vincoli dicendessero dall’applicazione delle leggi Bottai), quanto
             piuttosto ne estendesse la portata consentendo a tale strumento di salvaguardare
             anche tali interessi. Se naturalmente è vero che il tipo di tutela che la disciplina
             urbanistica prevede non è equipollente a quella fornita dal Codice dei beni
             culturali e del paesaggio, essa assume comunque la capacità di far emergere
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             valori culturali locali, altrimenti pretermessi . D’altro canto, la stessa Corte




             già presente nella Convenzione Unesco del 1972 che all’art. 5, lett. a), espressamente
             affermava la necessità di adottare una politica generale intesa ad assegnare una funzione
             al patrimonio culturale e naturale nella vita collettiva e a integrare la protezione di questo
             patrimonio nei programmi di pianificazione generale”. Il focus sulla pianificazione d’altro
             canto è presente anche in altri documenti internazionali ancorché non necessariamente
             centrati sulla città, ma che in ogni caso possono fornire indicazioni interessanti per
             meglio comprendere la relazione tra il patrimonio culturale e lo sviluppo sostenibile.
             Tra questi, di sicuro rilievo in queste riflessioni, sono la Convenzione europea sul
             Paesaggio (2000) e la Convenzione-quadro sul valore del patrimonio culturale per la
             società (adottata a Faro nel 2005), entrambe del Consiglio d’Europa. Come già in altra
             sede si è rilevato, infatti, i due preamboli consacrano un legame tra il patrimonio
             culturale/paesaggio e lo sviluppo sostenibile, indicando soprattutto come la relazione
             cultura/paesaggio rappresenti una risorsa di sviluppo sostenibile e di qualità della vita
             in una società in costante evoluzione. In particolare, la Convenzione su Paesaggio
             prevede l’impegno a «integrare il paesaggio nelle politiche di uso del suolo, di
             urbanistica e nelle politiche culturali, ambientali, agricole, sociale et economiche, così
             come nelle altre politiche che possono avere un effetto diretto o indiretto sul paesaggio».
                76  Sul punto, A. BARTOLINI, op. ult. cit. L’A. titola sgnificativamente il suo contributo
             “patrimoni culturali” (al plurale) e non “patrimonio culturale” (al singolare) per meglio
             indicare la coesistenza nell’ordinamento di diverse declinazioni di patrimonio culturale
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