Page 132 - Borrello, Videtta.5a.qxp_.
P. 132
126 Cristina Videtta
ne accerti «valori storici, culturali, naturali, morfologici, estetici espressi dagli
aspetti e caratteri peculiari degli immobili o delle aree considerati ed alla loro
valenza identitaria in rapporto al territorio in cui ricadono», sulla base della
proposta formulata ex art. 138, c. 1. Anche in questo caso infatti, il riferimento
non è ad insediamenti umani nel loro complesso, come indicato dall’obiettivo
11 dell’Agenda 2030, ma a quella parte degli stessi che rivestano, unitariamente
considerati, un valore peculiare. Se è vero che, in questo caso, a differenza di
quanto previsto nella seconda Parte del Codice dedicata ai beni culturali, vi è
una specifica attenzione per un complesso, va detto comunque come l’individua -
zione rifletta comunque quella logica del ritaglio di cui si è detto.
D’altro canto, se ci si interroga sulla presenza del tema della sostenibilità
all’interno del Codice, si trae l’impressione della sua sostanziale irrilevanza atteso
che è possibile rinvenire un’unica menzione ad essa nell’art. 143, c. 1, lett. h),
che, tra i contenuti del piano paesaggistico, indica anche «l’individuazione delle
misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli
interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo
sostenibile delle aree interessate». A ben vedere, infatti, la logica della norma
sembrerebbe rovesciata rispetto alla prospettiva in cui si è delineata la «città
culturale sostenibile». Prescindendo, infatti, dalla dimensione territoriale a cui
il piano paesaggistico si riferisce, certamente comunque non circoscritta alla
città, pare comunque potersi rilevare come la prospettiva non sia quella di una
dimensione culturale capace di trainare lo sviluppo territoriale (assegnandosi
così un ruolo attivo a tale dimensione secondo quanto si è detto), quanto
piuttosto quello di ricercare un equilibrio tra esigenze di protezione della
dimensione identitaria e lo sviluppo territoriale, evitando che la prima possa
appunto ostacolare il secondo.
Invero, la genesi e l’impostazione del Codice lo rendono lo strumento meno
adeguato a cui guardare nel momento in cui ci si interroga sulla dimensione
giuridica della città culturale sostenibile in Italia e si cerca di rintracciare all’in -
terno dell’ordinamento tracce significative di questa consapevolezza. D’altro
canto anche laddove si guardi alle norme di valorizzazione e segnatamente a
quei “luoghi della cultura” che, come detto sopra, dovrebbero costituire terreno
elettivo non solo di apprendimento ma anche di dialogo e confronto, si ritrovano
64
definizioni come quelle di museo e di biblioteca , ove appunto tale valenza
appare sostanzialmente mortificata.
64 Art. 101, c. 1, lett. a): «museo, una struttura permanente che acquisisce, cataloga,
conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio»; lett.
b): «biblioteca, una struttura permanente che raccoglie, cataloga e conserva un insieme
organizzato di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque
supporto, e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio».