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             ne accerti «valori storici, culturali, naturali, morfologici, estetici espressi dagli
             aspetti e caratteri peculiari degli immobili o delle aree considerati ed alla loro
             valenza identitaria in rapporto al territorio in cui ricadono», sulla base della
             proposta formulata ex art. 138, c. 1. Anche in questo caso infatti, il riferimento
             non è ad insediamenti umani nel loro complesso, come indicato dall’obiettivo
             11 dell’Agenda 2030, ma a quella parte degli stessi che rivestano, unitariamente
             considerati, un valore peculiare. Se è vero che, in questo caso, a differenza di
             quanto previsto nella seconda Parte del Codice dedicata ai beni culturali, vi è
             una specifica attenzione per un complesso, va detto comunque come l’individua -
             zione rifletta comunque quella logica del ritaglio di cui si è detto.
                D’altro canto, se ci si interroga sulla presenza del tema della sostenibilità
             all’interno del Codice, si trae l’impressione della sua sostanziale irrilevanza atteso
             che è possibile rinvenire un’unica menzione ad essa nell’art. 143, c. 1, lett. h),
             che, tra i contenuti del piano paesaggistico, indica anche «l’individuazione delle
             misure necessarie per il corretto inserimento, nel contesto paesaggistico, degli
             interventi di trasformazione del territorio, al fine di realizzare uno sviluppo
             sostenibile delle aree interessate». A ben vedere, infatti, la logica della norma
             sembrerebbe rovesciata rispetto alla prospettiva in cui si è delineata la «città
             culturale sostenibile». Prescindendo, infatti, dalla dimensione territoriale a cui
             il piano paesaggistico si riferisce, certamente comunque non circoscritta alla
             città, pare comunque potersi rilevare come la prospettiva non sia quella di una
             dimensione culturale capace di trainare lo sviluppo territoriale (assegnandosi
             così un ruolo attivo a tale dimensione secondo quanto si è detto), quanto
             piuttosto quello di ricercare un equilibrio tra esigenze di protezione della
             dimensione identitaria e lo sviluppo territoriale, evitando che la prima possa
             appunto ostacolare il secondo.
                Invero, la genesi e l’impostazione del Codice lo rendono lo strumento meno
             adeguato a cui guardare nel momento in cui ci si interroga sulla dimensione
             giuridica della città culturale sostenibile in Italia e si cerca di rintracciare all’in -
             terno dell’ordinamento tracce significative di questa consapevolezza. D’altro
             canto anche laddove si guardi alle norme di valorizzazione e segnatamente a
             quei “luoghi della cultura” che, come detto sopra, dovrebbero costituire terreno
             elettivo non solo di apprendimento ma anche di dialogo e confronto, si ritrovano
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             definizioni come quelle di museo e di biblioteca , ove appunto tale valenza
             appare sostanzialmente mortificata.

                64  Art. 101, c. 1, lett. a): «museo, una struttura permanente che acquisisce, cataloga,
             conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio»; lett.
             b): «biblioteca, una struttura permanente che raccoglie, cataloga e conserva un insieme
             organizzato di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque
             supporto, e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio».
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