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             riale, pur ponendosi come azioni indispensabili al conseguimento di città soste -
             nibili, non parrebbero esaurire il ruolo della cultura all’interno della città atteso
             che, così ragionando, se ne svilirebbe il ruolo essenziale e forte, indispensabile
             a realizzare insediamenti umani la cui sostenibilità si deve misurare in ragione
             della sua capacità di consentire, rectius garantire e sostenere, la realizzazione
             personale degli individui come singoli e come membri di una collettività.
                Pare dunque potersi affermare come le Dichiarazioni di Hangzhou del 2013
             e, soprattutto, del 2015 forniscano le più esplicite indicazioni sulla realizzazione
             di una vera e propria «città culturale sostenibile» e, questo ancorché si possano
             forse rilevare alcuni ambiti su cui, a parere di chi scrive, sarebbe stata opportuna
             una maggiore chiarezza.
                In primo luogo, manca forse una presa di posizione più chiara sul ruolo del
             patrimonio (culturale) costruito e sul suo legame colla comunità, sull’importanza
             di mantenerne la vitalità e di evitare fenomeni di museificazione o, all’opposto,
             di gentrification. Il tema forse è troppo specifico per essere affrontato in un
             documento di respiro generale, tuttavia, quanto meno qualche riferimento
             avrebbe potuto restituire un’idea più chiara del modello di città culturale
             sostenibile. Interpretativamente, come già rilevato, parrebbe legittimo affermare
             che un’indicazione in tal senso potrebbe trarsi dalla considerazione generale
             che la città disegnata dall’Agenda 2030 è una città prima di tutto «viva» prima
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             ancora che vivibile , e pertanto si potrebbe sostenere, pur forse con una certa
             forzatura, come la medesima considerazione possa essere riferita anche alla
             «gestione» del patrimonio culturale; pur tuttavia sarebbe stato utile chiarire in
             modo esplicito che anche il patrimonio culturale (costruito) non si deve sottrarre
             a tale carattere, nel senso che «proteggere e salvaguardare il patrimonio cultu -
             rale» (secondo il target n. 11.4) significa, oltre ad assicurarne una conserva zione
             fisica, anche garantirne la vitalità e impedirne la cristallizzazione. Tale lettura
             sarebbe tra l’altro in linea colla considerazione che se è vero che il patrimonio
             culturale ha un valore specifico per la comunità come luogo (fisico ma anche
             spirituale) di incontro, confronto e appartenenza, la museificazione esasperata
             rischia, al pari di fenomeni di gentrification, di allontanare proprio quel patrimo -
             nio dall’individuo e dalla comunità (segnatamente da quelle parti della comunità
             su cui più pressanti si pongono i problemi di inclusione); più nello specifico,
             ove ci si riferisca alla sua componente materiale urbana, il rischio è che si
             privilegino forme di «ritaglio» di eccellenze all’interno del tessuto cittadino,
             determinando fratture nella continuità dello stesso e privandolo del suo ruolo
             più profondo, ossia quello di consentire la conoscenza e l’inclusione.
                Un secondo profilo su cui forse sarebbe stata opportuna un’insistenza mag -
             gior mente esplicita è quello relativo agli spazi pubblici. Ben è vero che già


                47  V. supra par. 9.
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