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114 Cristina Videtta
riale, pur ponendosi come azioni indispensabili al conseguimento di città soste -
nibili, non parrebbero esaurire il ruolo della cultura all’interno della città atteso
che, così ragionando, se ne svilirebbe il ruolo essenziale e forte, indispensabile
a realizzare insediamenti umani la cui sostenibilità si deve misurare in ragione
della sua capacità di consentire, rectius garantire e sostenere, la realizzazione
personale degli individui come singoli e come membri di una collettività.
Pare dunque potersi affermare come le Dichiarazioni di Hangzhou del 2013
e, soprattutto, del 2015 forniscano le più esplicite indicazioni sulla realizzazione
di una vera e propria «città culturale sostenibile» e, questo ancorché si possano
forse rilevare alcuni ambiti su cui, a parere di chi scrive, sarebbe stata opportuna
una maggiore chiarezza.
In primo luogo, manca forse una presa di posizione più chiara sul ruolo del
patrimonio (culturale) costruito e sul suo legame colla comunità, sull’importanza
di mantenerne la vitalità e di evitare fenomeni di museificazione o, all’opposto,
di gentrification. Il tema forse è troppo specifico per essere affrontato in un
documento di respiro generale, tuttavia, quanto meno qualche riferimento
avrebbe potuto restituire un’idea più chiara del modello di città culturale
sostenibile. Interpretativamente, come già rilevato, parrebbe legittimo affermare
che un’indicazione in tal senso potrebbe trarsi dalla considerazione generale
che la città disegnata dall’Agenda 2030 è una città prima di tutto «viva» prima
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ancora che vivibile , e pertanto si potrebbe sostenere, pur forse con una certa
forzatura, come la medesima considerazione possa essere riferita anche alla
«gestione» del patrimonio culturale; pur tuttavia sarebbe stato utile chiarire in
modo esplicito che anche il patrimonio culturale (costruito) non si deve sottrarre
a tale carattere, nel senso che «proteggere e salvaguardare il patrimonio cultu -
rale» (secondo il target n. 11.4) significa, oltre ad assicurarne una conserva zione
fisica, anche garantirne la vitalità e impedirne la cristallizzazione. Tale lettura
sarebbe tra l’altro in linea colla considerazione che se è vero che il patrimonio
culturale ha un valore specifico per la comunità come luogo (fisico ma anche
spirituale) di incontro, confronto e appartenenza, la museificazione esasperata
rischia, al pari di fenomeni di gentrification, di allontanare proprio quel patrimo -
nio dall’individuo e dalla comunità (segnatamente da quelle parti della comunità
su cui più pressanti si pongono i problemi di inclusione); più nello specifico,
ove ci si riferisca alla sua componente materiale urbana, il rischio è che si
privilegino forme di «ritaglio» di eccellenze all’interno del tessuto cittadino,
determinando fratture nella continuità dello stesso e privandolo del suo ruolo
più profondo, ossia quello di consentire la conoscenza e l’inclusione.
Un secondo profilo su cui forse sarebbe stata opportuna un’insistenza mag -
gior mente esplicita è quello relativo agli spazi pubblici. Ben è vero che già
47 V. supra par. 9.