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102 Cristina Videtta
Dichiarazioni precedenti, senza nulla aggiungere. Lo stesso richiamo alla
necessità di rispettare i diritti umani, rimarrebbe a livello di osservazione di
carattere generale senza che la Convenzione intenda effettivamente porsi «come
strumento d’azione positiva per la promozione deidiritti culturali di alcuni
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grupopi, quali minoranze o popolazioni indigene» .
Anche di fronte ad una ipotesi di lettura come quella riportata, non può
tuttavia sottacersi come il principio di sviluppo sostenibile di cui all’art. 2, n. 6,
consenta di integrare le ragioni della cultura all’interno dello sviluppo sostenibile
anche in prospettiva non necessariamente economica, visto che la formulazione
del principio stesso non sembra consentirne una lettura restrittiva a tale ambito.
Se dunque la matrice originaria della Convenzione è certamente di tipo econo -
mico, non si può negare la portata generale del principio stesso.
In particolare, la dottrina ha rimarcato la pregnanza dell’affermazione se -
condo la quale la diversità culturale è «patrimonio comune dell’umanità»; essa
si fonderebbe infatti fisiologicamente «sul presupposto dell’unità (intesa, ovvia -
mente, non come uniformità, ma come unità nella diversità) e della solidarietà».
Considerando altresì che, come specificamente affermato dalla Dichiarazione
Unesco sulla diversità culturale del 2001, «cultural diversity is as necessary for
humankind as biodiversity is for nature», ne conseguirebbe che le stesse «misure
di protezione in deroga alle regole del libero scambio si giustificano in conside -
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razione di un interesse superiore, non di un singolo Stato, ma di tutti gli Stati» .
Invero nonostante la matrice della Convenzione, non si nega (e nemmeno
invero si potrebbe) l’importanza della protezione della diversità culturale e la
sua stretta relazione con la realizzazione dei diritti umani fondamentali, in un
rapporto di reciproca integrazione tale per cui la realizzazione dell’una
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presuppone la tutela dell’altra e viceversa .
36 L’osservazione è di A. GATTINI, op. cit., 197. Si veda sul punto anche L. PINESCHI,
op. cit., 163-164, che evidenzia come il fine primo della Convenzione sarebbe quello di
proteggere i beni espressione di diversità culturale «innanzi tutto sul piano economico
e commerciale, consentendo alle Parti che lo ritengano opportuno, di adottare un
trattamento preferenziale, attraverso misure protezionistiche e aiuti pubblici di varia
natura»; infatti «La crescente liberalizzazione degli scambi costituisce una nuova
opportunità di interazione tra le culture, in quanto viene favorita la conoscenza e il
dialogo reciproco. Tuttavia il processo di globalizzazione, anziché favorire il mutuo
accrescimento culturale, rischia di portare allo sviluppo di un flusso di informazioni
unilaterale e all’annientamento delle culture tradizionali (…). In effetti, allo stato attuale
è possibile riscontrare uno squilibrio nello scambio di beni culturali che porta a
privilegiare certe culture dominanti (in particolare la cultura americana) e a penalizzare
la cultura dei Paesi in via di sviluppo (…)».
37 L. PINESCHI, op. cit., 164-165.
38 Ancora L. PINESCHI, op. cit., 166.