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22aDAVIDE FAORO

                           zione dei libelli depone decisamente a favore della tesi tradizionale che stima
                           per questo genere di documenti un’affissione lungo le pareti di queste strut-
                           ture, piuttosto che una loro deposizione in un ambiente chiuso, ancorché si-
                           tuato presso un portico o una stoa, dove i rescritti sarebbero stati consultati
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                           dai petitori . Se quest’ultima fosse stata una prassi invalsa, avremmo proba-
                           bilmente  avuto  notizia  di  altre  tipologie  di  edifici  adibiti  a  tale  scopo.  Al
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                           contrario la ricorrenza di portici o stoa , di strutture lunghe, coperte e aperte
                           al pubblico, induce a ritenere che almeno nel II e III sec. d.C. la scelta di
                           questi luoghi fosse funzionale all’esposizione del tipo di supporto nel quale
                           le petizioni sottoscritte venivano raggruppate.Vi sono del resto pochi dubbi
                           che il termine τεῦχος stia per liber e τεῦχος λιβέλλων τῶν προκειμένων per
                           liber libellorum propositorum, un τεῦχος confezionato cioè alla maniera dei
                           synkollemata, incollando più libelli assieme sino a formare un unico rotolo.
                           È evidente, dati luogo e modalità di pubblicazione, che tale τεῦχος non po-
                           tesse consistere in un lungo rotolo d’archivio, ma in un volumen contenente
                           un numero limitato di petizioni affisse l’una accanto all’altra durante il pe-
                           riodo di pubblicazione nella stoa dell’ignota città della Licia. È facile imma-
                           ginare che l’affissione di un siffatto τεῦχος λιβέλλων προκειμένων favorisse
                           la lettura e la copiatura dei singoli testi da parte di più petitori contempora-
                           neamente – come forse accadde ad Ermogene – e allo stesso tempo, grazie
                           alla sua confezione, la loro archiviazione: una volta terminato il periodo di
                           affissione,  ovvero  quando  la  carovana  imperiale  riprendeva  il  viaggio,  il
                           τεῦχος λιβέλλων προκειμένων poteva essere rimosso dalla sua sede di espo-
                           sizione e riposto nel bagaglio del comitato imperiale. Che si fosse trattato di
                           un τεῦχος composto da libelli in originale, è un dato ricavabile sia dalla tem-
                           pistica di soli due giorni occorsa tra inoltro del libello e copiatura da parte
                           del  petitore  del  medesimo  libello  processato  dal  τεῦχος  λιβέλλων  τῶν
                           προκειμένων,  sia  dall’annotazione  in  latino  di  ricevimento  del  libello,  che
                           apposta tra il testo greco della petizione e quello della subscriptio latina, la-
                           scia validamente intuire che il libello inserito nel τεῦχος fosse quello origi-
                           nale presentato da Ermogene. Quest’evidenza smentisce una volta di più la
                           congettura che in epoca adrianea i libelli fossero riconsegnati in originale al
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                           petitore , o che la propositio riguardasse le subscriptiones e non già le peti-
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                           zioni di cui esse erano risposta .


                             35  Secondo D’ORS, MARTIN, 1979, p. 117-118.
                             36  Ivi compreso il luogo di esposizione delle copie degli ἀποκρίματα di Settimio Severo e
                           Caracalla, di cui P.Col. 123, l. 1 s.: ἐν Ἀλεξανδρείᾳ ἀντίγραφα ἀποκριμάτων προτεθέντων ἐν
                           τῇ στοᾷ τοῦ γυμνασίου.
                             37  D’ORS, MARTIN, 1979, p. 114.
                             38  NÖRR, 1981.
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