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                La difettività, del resto, è propriamente il tratto che costituisce l’idea stessa
             di comunità: come è stato precedentemente evidenziato, essa non è un pieno,
             un “tutto” circoscritto, ma è piuttosto segnata da una differenzialità costitu -
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             tiva  su cui si fonda la responsabilità per l’altro, per il futuro. È, in altri termini,
             questa difettività a disporre il rapporto con l’altro, a spingere verso l’altro,
             generando «un’universalità concreta, capace di trovare concettualizzazione
                                                                                    165
             mediante il farsi della società e la vita degli stessi individui e delle comunità» .
                Si profila dunque, in questo senso, la concezione di un’universalità che non
             si pone come precondizione astratta, in base alla quale vagliare e valutare le
             differenti opzioni. Una tale rappresentazione infatti, appellandosi all’assolutezza
             dei valori costitutivi, rischierebbe di vanificare la dimensione intrinsecamente
             mobile della sostenibilità. Quest’ultima infatti costituisce un processo trasfor -
             mativo, e come tale non può che dover rinunciare alla definitezza delle sue
             statuizioni. Cionondimeno, necessita di assumere principi che possano espri -
             mere un valore universale. Essi possono allora essere compresi come un
             orizzonte verso cui ci si orienta, attraverso un percorso progressivo che, in
             quanto inclusivo e partecipato, si auto-espone a una continua ridefinizione,
             tenendo in conto le specificità di volta in volta emergenti.
                Più specificatamente, l’universalità, cui la sostenibilità si appella, indica
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             l’orizzonte d’intesa di più particolari . Per questa ragione occorre qualificare
             tale dimensione universale attraverso la qualità della concretezza; questo univer -
             sale concreto, che manifesta la capacità di plasmare e costruire le relazioni
             secondo un ordine che preserva le diverse visioni, componendole in un quadro




             questo noi non è universalistico quanto piuttosto particolare e contingente e, quindi,
             prevede altri» (cfr. S. Veca, “I problemi di una teoria della giustizia globale”, in Il
             Politico, I, 2006, p. 18.
                164  È in questo senso che è stato possibile rilevare la condizione debitoria dei presenti
             nei confronti dei futuri in base alla quale si definisce la responsabilità intergenerazionale.
             Sulla difettività costitutiva della comunità e sulla condizione debitoria quale fonda -
             mento della socialità si veda R. Esposito, Termini della politica. Comunità, immunità,
             biopolitica, Mimesis, Milano, 2008; in particolare, a p. 76 afferma: «ciò che ci tiene in
             comune – o meglio che ci istituisce in quanto esseri in-comune, con-esserci – è precisa -
             mente quel difetto, quell’inadempienza, quel debito».
                165  Cfr. M. Ricca, Democrazia interculturale e educazione giuridica. apprendere l’uso
             del diritto nella scuola multi-etnica, 2017, risorsa online: DOI: 10.13140/RG.2.2.30785.
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                166  In tal senso, Tzvetan Todorov distingue tra un cattivo universalismo, che si de -
             duce da un particolare e che traduce modalità impositive, e un buon universalismo, che
             precipuamente compone e comprende più particolar. Si veda T. Todorov, Noi e gli
             altri. La riflessione francese sulla diversità umana, tr. it., Einaudi, Torino, 1991, p. 17.
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