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54 Maria Borrello
La difettività, del resto, è propriamente il tratto che costituisce l’idea stessa
di comunità: come è stato precedentemente evidenziato, essa non è un pieno,
un “tutto” circoscritto, ma è piuttosto segnata da una differenzialità costitu -
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tiva su cui si fonda la responsabilità per l’altro, per il futuro. È, in altri termini,
questa difettività a disporre il rapporto con l’altro, a spingere verso l’altro,
generando «un’universalità concreta, capace di trovare concettualizzazione
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mediante il farsi della società e la vita degli stessi individui e delle comunità» .
Si profila dunque, in questo senso, la concezione di un’universalità che non
si pone come precondizione astratta, in base alla quale vagliare e valutare le
differenti opzioni. Una tale rappresentazione infatti, appellandosi all’assolutezza
dei valori costitutivi, rischierebbe di vanificare la dimensione intrinsecamente
mobile della sostenibilità. Quest’ultima infatti costituisce un processo trasfor -
mativo, e come tale non può che dover rinunciare alla definitezza delle sue
statuizioni. Cionondimeno, necessita di assumere principi che possano espri -
mere un valore universale. Essi possono allora essere compresi come un
orizzonte verso cui ci si orienta, attraverso un percorso progressivo che, in
quanto inclusivo e partecipato, si auto-espone a una continua ridefinizione,
tenendo in conto le specificità di volta in volta emergenti.
Più specificatamente, l’universalità, cui la sostenibilità si appella, indica
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l’orizzonte d’intesa di più particolari . Per questa ragione occorre qualificare
tale dimensione universale attraverso la qualità della concretezza; questo univer -
sale concreto, che manifesta la capacità di plasmare e costruire le relazioni
secondo un ordine che preserva le diverse visioni, componendole in un quadro
questo noi non è universalistico quanto piuttosto particolare e contingente e, quindi,
prevede altri» (cfr. S. Veca, “I problemi di una teoria della giustizia globale”, in Il
Politico, I, 2006, p. 18.
164 È in questo senso che è stato possibile rilevare la condizione debitoria dei presenti
nei confronti dei futuri in base alla quale si definisce la responsabilità intergenerazionale.
Sulla difettività costitutiva della comunità e sulla condizione debitoria quale fonda -
mento della socialità si veda R. Esposito, Termini della politica. Comunità, immunità,
biopolitica, Mimesis, Milano, 2008; in particolare, a p. 76 afferma: «ciò che ci tiene in
comune – o meglio che ci istituisce in quanto esseri in-comune, con-esserci – è precisa -
mente quel difetto, quell’inadempienza, quel debito».
165 Cfr. M. Ricca, Democrazia interculturale e educazione giuridica. apprendere l’uso
del diritto nella scuola multi-etnica, 2017, risorsa online: DOI: 10.13140/RG.2.2.30785.
25448.
166 In tal senso, Tzvetan Todorov distingue tra un cattivo universalismo, che si de -
duce da un particolare e che traduce modalità impositive, e un buon universalismo, che
precipuamente compone e comprende più particolar. Si veda T. Todorov, Noi e gli
altri. La riflessione francese sulla diversità umana, tr. it., Einaudi, Torino, 1991, p. 17.