Il Re Torrismondo e altro
ISBN | 978-88-6274-034-0 |
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Numero in collana | 08 |
Collana | Manierismo e Barocco / ISSN 1724-8558 |
Autore | Stefano Verdino |
Pagine | 246 |
Anno | 2008 |
In ristampa | No |
Descrizione | Il Re Torrismondo e altro |
Introduzione • 1. Tempi e occasioni • 2. Sulla Tragedia • 3. L’invenzione • 4. Il progetto di teatro • 5. Verso e voce • 6. Dal testo al contesto • 7. Alla ricerca di un canone tragico nel primo Settecento: il Teatro italiano del Maffei • Nota bibliografica • Indice dei nomi
Il Re Torrismondo del Tasso ha avuto un curioso destino: atteso dal pubblico dei lettori del tempo, come dimostrano le dodici edizioni consecutive al suo apparire (cui vanno aggiunte ancora tre nel 1588-89), fu nello stesso tempo un repentino successo e un fiasco plurisecolare (con l’eccezione di un focolaio d’interesse nel primo Settecento), quasi che i non pochi lettori delle prime stampe preferissero ritrarsi da quest’opera. Come mai non si ripeté, per il poeta indiscutibilmente maggiore del suo tempo, il successo della Liberata e dell’Aminta? Perché il poeta della tragedia è precocemente invecchiato e stanco, come per lungo tempo si è detto o c’è qualcos’altro? Il Torrismondo e, in genere, la tragedia patirono in Italia, sul valico dei due secoli, una sconfitta storica, come è noto, dalla tragicommedia – e da Il pastor fido in particolare – e dal melodramma. Ciò voleva anche dire un divario tra il dibattito teorico e il gusto del pubblico, tra Accademia e Teatro. Il mancato successo della tragedia di Tasso si trova tra questi crocevia, ma è indubbio che l’autore ci abbia messo del suo a rendere difficile la partita e non per precoce senescenza o fievole vena creativa, quanto per una scelta di tragico radicale, poco digeribile, incardinato com’è in un’ottica di lutto senza risoluzione. Il Torrismondo è l’ultima opera del Tasso, che mette in scena i moti degli affetti e delle vicende umane (a parte la riscrittura della Conquistata) e non possiamo non leggerla come un deliberato congedo da un mondo di passionalità, che ben lo coinvolse. Ma la misura del congedo è anche più ampia e riguarda l’insieme della tradizione letteraria ereditata, come si vedrà in questo studio, un’opera profondamente antiumanistica e antirinascimentale, e solo assai cautamente ascrivibile a un gusto barocco, certamente ben poco a quello italiano, che infatti non la ricevette. Ma, per quanto osservato ormai da più angolature in molti e suggestivi studi, è mancato finora un libro su quest’opera, che ne prospetti un’escussione a vasto raggio nella sua ‘macchina’ interna e nei suoi vari contesti. Questo è quanto qui viene fatto, con attenzione anche all’unico episodio di “fortuna” del Torrismondo nel quadro di una prima sistemazione critica della tragedia italiana nel Settecento, operata con il Teatro italiano di Scipione Maffei.
Stefano Verdino (Genova 1953) insegna Letteratura Italiana all’Università di Genova. È redattore di “nuova corrente”, collabora a “Poesia” e “L’indice”. Si è occupato di poesia contemporanea (Montale, Caproni, Viviani), di autori di Primo Ottocento (Manzoni, Leopardi, Romani), di letteratura manierista (Rimatori politici ed erotici del Cinquecento genovese, 1996) e del Tasso. Ha curato per i Meridiani Mondadori l’opera poetica di Mario Luzi (1998). Ha pubblicato, inoltre, uno studio sul pensiero critico di Anceschi (1987), Storia delle riviste genovesi (1993), Il racconto della poesia (2003), La poesia di Mario Luzi (2006), Lettere e lettori. Questioni di teoria critica (2007).