Alla fine del secolo

Scrivere di critica non ha da essere soltanto un esercizio di mestiere accademico oppure di passione militante, anzi è bene che tale non sia. Neppure, naturalmente, è bene trasformare la critica in autobiografia. Ma è pure giusto che il critico interpreti la letteratura anche come una lezione di verità e di conoscenza per la propria esistenza. Il libro di Paola Pepe aspira a questo risultato. È un’ambizione difficile, e può essere ora ammirata, ora contestata, ma sempre l’impegno è prezioso e generosamente appassionato, sempre il segno dura. Non amo la critica che guardi ai minori e ai minimi per non rischiare nulla, come così frequentemente oggi si vede fare: grande è il pericolo di bruciarsi a contatto dei sommi. È un’aspirazione prometeica, e si può finire imprigionati e incatenati su una rupe o, più modestamente, in qualche rivista o in qualche giornale. È quella di Paola: ma ne vale la pena. Giorgio Bárberi Squarotti