La «Nekyia» omerica (Odissea XI) nella traduzione di Cesare Pavese

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978-88-6274-598-7
16,00 €
Curatore: Eleonora Cavallini
Isbn: 978-88-6274-598-7
Collana: I libri di "Levia Gravia" / ISSN 2611-5395
La «Nekyia» omerica (Odissea XI) nella traduzione di Cesare Pavese
Maggiori Informazioni
ISBN978-88-6274-598-7
Numero in collana16
CollanaI libri di "Levia Gravia" / ISSN 2611-5395
CuratoreEleonora Cavallini
PagineIV-112
Anno2015
In ristampa
DescrizioneLa «Nekyia» omerica (Odissea XI) nella traduzione di Cesare Pavese
A parte qualche sporadico tentativo coincidente con gli inizi dell’Università, le prime traduzioni di Pavese dai classici greci risalgono ai tempi del confino a Brancaleone Calabro (1935-1936), in cui lo scrittore si cimenta dapprima con Esopo e Luciano, poi con Omero, alcuni frammenti lirici, i tragici e Platone. Appartiene a questo periodo anche il primo approccio con l'undicesimo libro dell’Odissea (la Nekyia, o «Evocazione dei morti»), la cui versione però, per questa volta, si interrompe con il v. 203. Negli anni del dopoguerra, mentre ancora è impegnato nella stesura dei Dialoghi con Leucò, Pavese riprende in mano grammatiche e dizionari di molti anni prima e ricomincia a «rosicchiarsi» Omero. In parte si tratta di canti non tradotti in precedenza (come Iliade V, X e XV), ma la nuova versione della Nekyia è evidente segno della pervicace volontà di misurarsi proprio con questo Omero così atipico, poco battagliero e profondamente mistico, incline a raccontare vicende tragiche (come la colpa di Edipo ed Epicaste, ma soprattutto la raccapricciante fine di Agamennone) piuttosto che epiche. Un Omero perfino antieroico, che fa dire ad Achille: «Vorrei campagnolo essendo servire a un altro... piuttosto che a tutti i morti defunti regnare» (vv. 489-491). Ma soprattutto, un Omero che riporta, in forma poeticamente trasfigurata, le credenze religiose degli antichi Greci sulla vita e sulla morte. L’Ade è una presenza importante nei Dialoghi, soprattutto ne L’inconsolabile, che tratta di un’altra e ancora più straziante discesa agli Inferi, quella di Orfeo; ed è menzionato in due note del Diario, entrambe del 1947. Appare probabile che la traduzione della Nekyia sia posteriore di alcuni mesi a questo periodo, dato che essa quasi certamente presuppone l’invio, da parte di Mario Untersteiner, del commento a Odissea XI pubblicato per i tipi di Sansoni agli inizi del 1948. Non destinate alla pubblicazione, ma tutt’altro che banali o scolastiche, le traduzioni di Pavese da Omero, in particolare questa della Nekyia che oggi proponiamo, rappresentano la modalità pavesiana di rapportarsi con i classici greci, di cui egli avrebbe desiderato acquisire approfondita conoscenza. Ma, come avverte lo stesso Pavese in uno dei suoi ultimi saggi, «possedere significa distruggere, si sa»: e forse proprio per questa ragione, quel mistero e quel mito non volle mai possederlo fino in fondo, o almeno, non fino al punto di violarne l’originaria aura ‘sacrale’.

Eleonora Cavallini è professore ordinario di Letteratura Greca presso il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, sede di Ravenna, dove insegna anche Storia della Tradizione Classica nella Cultura Moderna e Contemporanea e Antropologia Storica del Mondo Greco. Dal 2002 al 2005 è stata Vicepreside della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna (sede di Ravenna), nonché Presidente del Corso di Laurea Specialistica in Conservazione e Valorizzazione dei Beni Archeologici. È responsabile del progetto internazionale di ricerca “Mythimedia” e dirige la collana «Nemo. Confrontarsi con l’antico». Le sue ricerche sul rapporto fra Cesare Pavese e i classici greci hanno inizio nel 2006: tra i lavori recenti più significativi, la curatela del volume miscellaneo La Musa nascosta: mito e letteratura greca nell’opera di Cesare Pavese (Bologna, Dupress, 2014).